Da Machiavelli a Nietzsche

Per Machiavelli il principe non deve farsi troppi scrupoli nel prendere decisioni dalla moralità discutibile, quantomeno secondo l’usuale morale cristiana; così come per Nietzsche il Superuomo deve andare al di là del bene e del male cristianamente inteso.

Machiavelli riporta alcuni episodi tra cui uno particolarmente utile per comprendere i talenti di Cesare Borgia, il suo principe ideale. Si narra che “[…] non fidandosi della Francia e di altre forze estranee e non volendo correr rischi con esse, decise di ricorrere agli inganni.” (MACHIAVELLI, N., “Il principe”, 1532, Bur Rizzoli, Milano, a cura di Piero Melograni, 1999, p. 93.) Famigerato rimane il tranello teso a Paolo Orsini, che Machiavelli riporta restando fedele agli eventi. “Il duca colmò costui di cortesie e lo rassicurò fornendogli danaro, abiti e cavalli, tanto che gli Orsini finirono, per dabbenaggine, col consegnarsi nelle sue mani in Sinigaglia. Cesare Borgia uccise i capi del partito degli Orsini, compreso Paolo, e costrinse i partigiani a diventargli amici. Pose in tal modo fondamenta assai buone al suo potere” (p. 93).

Cosa insegna l’inganno teso contro gli Orsini presso la rocca di Senigallia? Per la morale cristiana suscita riprovazione un simile modo di agire tanto spietato e vigliacco, invece Machiavelli pare sciogliersi come un ghiacciolo al sole nel raccontare questa che lui reputa una prodezza da fuoriclasse della politica dei suoi tempi. Questo perché per Machiavelli morale e politica non sono compatibili. Quel che è certo per lui è che il talento politico di un eccellente principe non si misura sul grado cristiano di bontà, quasi a voler suggerire l’idea che la bontà è un lusso che un consumato politicante non può permettersi.

Per essere incisivi in politica occorre talvolta essere spietati e all’occorrenza vigliacchi, perché l’insegnamento tratto dalla lettura de “Il principe” di Machiavelli è che: “il fine giustifica i mezzi” adoperati per ottenerlo. Per quanto di questa frase non vi è traccia ne “Il principe”. A ogni modo, è innegabile che alcuni passi dell’opera – fra tutti i capitoli diciotto e diciannove – si prestino a trasmettere una filosofia “amorale”, che Nietzsche definirebbe da Superuomo.

A questo proposito, il collegamento tra il principe ideale vagheggiato da Machiavelli e lo “Übermensch” nietzscheano è tutt’altro che infondato. Per Machiavelli il principe non deve farsi troppi scrupoli nel prendere decisioni dalla moralità discutibile, quantomeno secondo l’usuale morale cristiana; così come per Nietzsche il Superuomo deve andare al di là del bene e del male cristianamente inteso. Infatti, sia Machiavelli sia Nietzsche ritengono che per fare la storia e non limitarsi a subirla si debba avere: una condotta inflessibile pur di raggiungere i propri scopi politici secondo il primo e pur di accrescere la propria volontà di potenza per il secondo.

“L’anticristo” ovvero “L’antipaolo” di Nietzsche

L’obiettivo polemico de “L’anticristo” nietzscheano non è Cristo – per cui Nietzsche usa anzi parole lusinghiere – ma Paolo di Tarso, considerato sia il fondatore della teologia cristiana – il cui caposaldo è la resurrezione dei corpi gloriosi, inedita rispetto alla resurrezione dell’anima che invece non era una novità per il mondo greco – sia il mistificatore del messaggio del Nazzareno.

Secondo Nietzsche il cristianesimo è il capro espiatorio: la causa prima, nonché ultima, di tutti i mali dell’umanità.
Come attacco di discorso può sembrare tranciante, ma tant’è se andiamo a vedere le pagine del capolavoro nietzscheano intitolato “Der Antichrist”.
L’obiettivo polemico de “L’anticristo” nietzscheano non è Cristo – per cui Nietzsche usa anzi parole lusinghiere – ma Paolo di Tarso, considerato sia il fondatore della teologia cristiana – il cui caposaldo è la resurrezione dei corpi gloriosi, inedita rispetto alla resurrezione dell’anima che invece non era una novità per il mondo greco – sia il mistificatore del messaggio del Nazzareno.
La teologia paolina ripresa anche polemicamente dal film “L’ultima tentazione di Cristo” di Scorsese – tratto a sua volta dal romanzo di Kazantzakis – segna pertanto l’inizio di un mondo sopramondano, o perlomeno di una distinzione tra un mondo – quello in cui viviamo – inferiore, peggiore, a cui se ne oppone un altro superiore, migliore.
La teoria dei due mondi, filosoficamente parlando, non è estranea al platonismo, che riconosce un mondo perfetto delle idee o Iperuranio e un mondo sbiadito delle copie tutt’altro che perfette. Perciò non è un caso se il platonismo viene creduto dai primissimi Padri della Chiesa come il cammino di preparazione al cristianesimo.
A proposito del sopramondo prospettato dalla teologia cristiana ergo paolina, è come se Nietzsche rinfacciasse all’ex persecutore di cristiani Paolo – convertito alla causa della fede solo dopo la folgorazione sulla via di Damasco – di voler truccare le carte già in partenza, giocando al perenne rinvio delle promesse cristiane – la più efficace di tutte è il trionfo sulla morte – a un fantomatico aldilà da cui nessuno – a parte Cristo – è tornato per riferire.
Il cristianesimo ha dalla sua l’eternità, ma l’uomo dispone solo di un periodo limitato nel quale può affermare nietzscheanamente la propria volontà e può diventare ciò che è, il traguardo quasi irraggiungibile prospettato da Nietzsche.
Il cristianesimo come religione degli ultimi, inoltre, non può che sembrare un affronto insostenibile a chi come Nietzsche ha sempre creduto fermamente nell’ideale greco dell’eccellenza, per cui è sacrosanto che i migliori prevalgano sugli ultimi. Il cristianesimo ha per giunta l’aggravante di essere la religione dei deboli, di chi non ha il coraggio di ergersi al di sopra degli altri per affermare la propria potenza e dimostrare così anche la propria eccellenza. Quella cristiana è dunque una morale da “eunuchi”. Una morale che ha saputo produrre valori fasulli, per questo vi è la necessità di trasmutare questi valori, andare al di là del bene e del male, o meglio di quello che la religione cristiana ha creduto essere “bene” e “male”. La trasmutazione dei valori nietzscheana dovrà portare all’avvento dello Übermensch, sia che lo si traduca come Superuomo o – alla maniera di Gianni Vattimo – come Oltreuomo.
Dire che “Dio è morto” – affermazione contenuta nell’opera nietzscheana intitolata “La gaia scienza” – per Nietzsche equivale a dire che i vecchi valori sono defunti. Motivo per cui i tempi sono maturi per l’avvento del Superuomo, che altro non è se non il dio di se stesso.