“L’anticristo” ovvero “L’antipaolo” di Nietzsche

L’obiettivo polemico de “L’anticristo” nietzscheano non è Cristo – per cui Nietzsche usa anzi parole lusinghiere – ma Paolo di Tarso, considerato sia il fondatore della teologia cristiana – il cui caposaldo è la resurrezione dei corpi gloriosi, inedita rispetto alla resurrezione dell’anima che invece non era una novità per il mondo greco – sia il mistificatore del messaggio del Nazzareno.

Secondo Nietzsche il cristianesimo è il capro espiatorio: la causa prima, nonché ultima, di tutti i mali dell’umanità.
Come attacco di discorso può sembrare tranciante, ma tant’è se andiamo a vedere le pagine del capolavoro nietzscheano intitolato “Der Antichrist”.
L’obiettivo polemico de “L’anticristo” nietzscheano non è Cristo – per cui Nietzsche usa anzi parole lusinghiere – ma Paolo di Tarso, considerato sia il fondatore della teologia cristiana – il cui caposaldo è la resurrezione dei corpi gloriosi, inedita rispetto alla resurrezione dell’anima che invece non era una novità per il mondo greco – sia il mistificatore del messaggio del Nazzareno.
La teologia paolina ripresa anche polemicamente dal film “L’ultima tentazione di Cristo” di Scorsese – tratto a sua volta dal romanzo di Kazantzakis – segna pertanto l’inizio di un mondo sopramondano, o perlomeno di una distinzione tra un mondo – quello in cui viviamo – inferiore, peggiore, a cui se ne oppone un altro superiore, migliore.
La teoria dei due mondi, filosoficamente parlando, non è estranea al platonismo, che riconosce un mondo perfetto delle idee o Iperuranio e un mondo sbiadito delle copie tutt’altro che perfette. Perciò non è un caso se il platonismo viene creduto dai primissimi Padri della Chiesa come il cammino di preparazione al cristianesimo.
A proposito del sopramondo prospettato dalla teologia cristiana ergo paolina, è come se Nietzsche rinfacciasse all’ex persecutore di cristiani Paolo – convertito alla causa della fede solo dopo la folgorazione sulla via di Damasco – di voler truccare le carte già in partenza, giocando al perenne rinvio delle promesse cristiane – la più efficace di tutte è il trionfo sulla morte – a un fantomatico aldilà da cui nessuno – a parte Cristo – è tornato per riferire.
Il cristianesimo ha dalla sua l’eternità, ma l’uomo dispone solo di un periodo limitato nel quale può affermare nietzscheanamente la propria volontà e può diventare ciò che è, il traguardo quasi irraggiungibile prospettato da Nietzsche.
Il cristianesimo come religione degli ultimi, inoltre, non può che sembrare un affronto insostenibile a chi come Nietzsche ha sempre creduto fermamente nell’ideale greco dell’eccellenza, per cui è sacrosanto che i migliori prevalgano sugli ultimi. Il cristianesimo ha per giunta l’aggravante di essere la religione dei deboli, di chi non ha il coraggio di ergersi al di sopra degli altri per affermare la propria potenza e dimostrare così anche la propria eccellenza. Quella cristiana è dunque una morale da “eunuchi”. Una morale che ha saputo produrre valori fasulli, per questo vi è la necessità di trasmutare questi valori, andare al di là del bene e del male, o meglio di quello che la religione cristiana ha creduto essere “bene” e “male”. La trasmutazione dei valori nietzscheana dovrà portare all’avvento dello Übermensch, sia che lo si traduca come Superuomo o – alla maniera di Gianni Vattimo – come Oltreuomo.
Dire che “Dio è morto” – affermazione contenuta nell’opera nietzscheana intitolata “La gaia scienza” – per Nietzsche equivale a dire che i vecchi valori sono defunti. Motivo per cui i tempi sono maturi per l’avvento del Superuomo, che altro non è se non il dio di se stesso.