Della volpe, del leone e di quanto la lealtà sia sopravvalutata per uno statista

Sarebbe bello se tutti fossero leali con il prossimo, il mondo sarebbe un posto migliore, pace e serenità per tutti ma, affinché tutto vada liscio e questo clima di distensione duri, la conditio sine qua non sarebbe che tutti, nessuno escluso, viaggiassero sulla stessa pacifica e serena lunghezza d’onda; basterebbe anche solo una stecca fuori dal coro, un solo essere umano sleale per mandare tutto a rotoli. Dunque, sarebbe bello sì, possibile…

La lealtà è sopravvaluta secondo Machiavelli. Prova ne sono queste parole: “Ognuno sa quanto sia lodevole, per un principe, essere leale e vivere con onestà, non con l’inganno. L’esperienza dei nostri tempi ci insegna tuttavia che i prìncipi, i quali hanno tenuto poco conto della parola data e ingannato le menti degli uomini, hanno anche saputo compiere grandi imprese e sono alla fine riusciti a prevalere su coloro che si sono invece fondati sulla lealtà” (MACHIAVELLI, N., “Il principe”, 1532, Bur Rizzoli, Milano, a cura di Piero Melograni, 1999, p. 165). Della serie: la lealtà è uno scomodo vestito pruriginoso, che a volte va tolto per sentire meno prurito. Sarebbe bello se tutti fossero leali con il prossimo, il mondo sarebbe un posto migliore, pace e serenità per tutti ma, affinché tutto vada liscio e questo clima di distensione duri, la conditio sine qua non sarebbe che tutti, nessuno escluso, viaggiassero sulla stessa pacifica e serena lunghezza d’onda; basterebbe anche solo una stecca fuori dal coro, un solo essere umano sleale per mandare tutto a rotoli. Dunque, sarebbe bello sì, possibile…

A proposito dei modi di combattere, Machiavelli dice che ne esistono di due tipi: “[…] l’uno, con le leggi; l’altro, con la forza. Il primo modo appartiene all’uomo, il secondo alle bestie. Ma poiché molte volte il primo modo non basta, conviene ricorrere al secondo. È pertanto necessario che un principe sappia servirsi dei mezzi adatti sia alla bestia sia all’uomo” (p. 165). Giocoforza: “Il principe è dunque costretto a saper essere bestia e deve imitare la volpe e il leone. Dato che il leone non si difende dalle trappole e la volpe non si difende dai lupi, bisogna essere volpe per riconoscere le trappole, e leone per impaurire i lupi. Coloro che si limitano a essere leoni non conoscono l’arte di governare” (pp. 165-166).

Due esempi del tutto arbitrari, due di tanti che si possono fare: Attila, re degli Unni; Garibaldi, eroe dei due mondi. Il primo fu un formidabile guerriero, però incapace di vedere oltre la successiva battaglia. Il secondo non fu secondo a nessuno in coraggio e spirito battagliero, ma dovette inginocchiarsi al cospetto di un reuccio piemontese. La loro natura leonina è lampante, solo con quella però non si governano gli uomini in tempo di pace, quando i nemici sono camuffati da amici e occorre il fiuto della volpe per stanarli. Per sconfiggere i nemici sul campo di battaglia un principe deve dare libero sfogo alla sua natura leonesca, per governare quella volpesca.

Ha senso essere leali in tutto e per tutto? Si direbbe proprio di no per Machiavelli: “Un signore prudente […] non può né deve rispettare la parola data se tale rispetto lo danneggia e se sono venute meno le ragioni che lo indussero a promettere. Se gli uomini fossero tutti buoni,” solito discorso, “questa regola non sarebbe buona. Ma poiché gli uomini sono cattivi e non manterrebbero nei tuoi confronti la parola data, neppure tu devi mantenerla con loro” (p. 167). Insomma, la prudenza non è mai troppa. Opportunismo machiavellico derivato da un pessimismo antropologico di fondo sulla base del quale: rispettare la parola data conviene solo se non va contro i propri interessi. Ragionamento spietato? Senza dubbio.

Un secolo dopo Machiavelli, un simile modo di ragionare verrà riproposto dal cardinale Richelieu, che per salvaguardare l’interesse nazionale francese (o “ragion di Stato”), pur essendo lui membro del clero cattolico e di un Paese cattolicissimo si allea furbescamente – massimo esempio di “natura volpina” – con le potenze protestanti per vincere la guerra dei Trent’anni e per spostare l’equilibrio di potenza europeo in favore della sua Francia. Si può dire che quello che Machiavelli teorizza, Richelieu lo realizza. Per gli uomini di ieri, di oggi e di ogni tempo risuona profetico questo passo de “Il principe”: “[…] chi meglio ha saputo farsi volpe, meglio è riuscito ad aver successo. Ma è necessario saper mascherare bene questa natura volpina ed essere grandi simulatori e dissimulatori. Gli uomini sono così ingenui e legati alle esigenze del momento che colui il quale vuole ingannare troverà sempre chi si lascerà ingannare” (p. 167). L’ammirazione di Machiavelli per Cesare Borgia è estesa anche – seppure in misura più contenuta – al padre papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia. Di quest’ultimo Machiavelli afferma: “Non ci fu mai uomo che promettesse con così grande efficacia, che giurasse con altrettanto fervore e che poi mancasse di parola come lui” (p. 167).

Mancare la parola data è un comportamento meschino? Secondo la morale lo è. In politica – in determinate circostanze – può essere un modo di agire da statista.

Autore: Marco Apolloni

Mi contraddico? Che importa, vuol dire che sono. Contraddico Dunque Sono. La vita è contraddizione, il pensiero pure.

1 commento su “Della volpe, del leone e di quanto la lealtà sia sopravvalutata per uno statista”

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