Da non vegetariano, mi sento di non avallare in toto le idee “postumaniste” di Caffo espresse nell’agile libricino “Dopo il Covid-19” e già in precedenti – e più ambiziose – opere; idee che però in gran parte condivido. Si creerebbe un disequilibrio – io credo – nella catena alimentare anche se tutti consumassimo piante o frutti, dato che queste risorse – per quanto si possano ampliare di gran lunga – comunque non sarebbero illimitate. Come persino i più ostinati carnivori sanno, non si potrà più andare avanti a mangiare quello che si vuole, nelle quantità a cui siamo abituati (specie nei Paesi più ricchi), quando più ci pare e piace. Gli allevamenti intensivi di carni bovine producono quantità di emissioni di anidride carbonica (CO2) ormai insostenibili. Per cui già da adesso dovremmo pianificare modalità complementari di alimentazione, considerando anche l’incremento della popolazione mondiale, virus permettendo.
Chi lo sa se gli insetti o le piante ci sfameranno tutti, lascio volentieri le previsioni più o meno approssimative ai futurologi. Quello che credo è che la chiave di tutto sia la riduzione drastica dei nostri consumi. Una riduzione minima come i grandi attori geopolitici – non tutti peraltro – stanno chi ipotizzando e chi timidamente attuando non basterà a salvarci, questo è pressoché assodato per chiunque sia un minimo informato sull’attuale dibattito scientifico e non presti ascolto a demenziali teorie complottistiche per le quali alcuni scienziati di parte – quale non si sa – starebbero montando un caso sul nulla.
Forse sarò ingenuo e infatti ho già messo le mani in avanti dichiarando di essere in fondo – molto “in fondo” – un ottimista antropologico, ma credo che se ci imponessimo tutti per legge a ridurre in maniera “drastica” i consumi, be’ forse ci daremo una possibilità di cavarcela nel medio-breve termine. Ovvio, una possibilità non è una certezza, quella nessuno può darla, nemmeno gli scienziati stessi con le loro previsioni più apocalittiche; a tal proposito, trovo bizzarro quanto ben si concilino certi scenari propostici dalla scienza con altri delineati dalle religioni, alla faccia di chi non riteneva più possibile un dialogo tra scienza e fede. Senz’altro gli scienziati lavorano con alti livelli di certezza e non nego che abbiano in gran parte ragione, ma – pur con le loro invidiabili certezze – anche loro non possono fornire certezze assolute per la banale evidenza della “previdibile imprevedibilità” del futuro, che, quando dico che sorprenderà tutti, intendo anche gli scienziati stessi, che sono solo umani con “più” conoscenze “certe” di altri. Avere più certezze, infatti, non significa averle tutte; e per prevedere con esattezza ciò che avverrà nel futuro bisognerebbe essere “infallibili”, cosa che non ci è data essere in quanto umani, sinonimo di “fallibili”.
Consumare poco di tutto (carne, pesce, verdura, frutta, eccetera), questa potrebbe essere una ricetta alla lunga vincente e più percorribile di altri approcci dogmatici, estremisti per quanto teoricamente giusti. Perché un conto è dirsi a favore di una certa teoria rivoluzionaria e un altro praticarla; lo studio della storia ci ha insegnato che le pratiche rivoluzionarie si sono rivelate perlopiù fallimentari; non c’è stata rivoluzione che non abbia prodotto eccessi e un “eccesso” potrebbe verificarsi immaginando una futura rivoluzione ambientalista.
Urge un cambiamento, su questo le persone ragionevoli credo possano trovarsi d’accordo; a divergere potrebbero essere le modalità per attuare questo “cambiamento” necessario. Io credo si possa realizzarlo attraverso un processo di riforme drastiche, sostanziali, serie, non riforme spot (di derivazione pubblicitaria), le sole che possano produrre effetti globalmente migliori di una radicale quanto pericolosa rivoluzione. Se rischiare di cambiare si deve – volenti o nolenti – meglio farlo con la testa, con la lucidità della ragione e non lasciando troppa corda agli eccessi della passione. Le rivoluzioni si combattono con il cuore, ma il cambiamento si governa con il cervello. Gli idealisti fanno le rivoluzioni, i realisti governano il mondo. Detto in altre parole, a fare le rivoluzioni siamo buoni tutti, per aggiustare i danni da esse causati ci vogliono invece persone competenti. Tanto vale perciò cambiare drasticamente senza cedere a facili quanto entusiastici istinti rivoluzionari.
Per inclinazione personale, sono contro a tutti gli “ismi”, siano essi “specismi” o “antispecismi”. Gli estremi mi smuovono dentro un’istintiva repulsione, perché ho l’impressione che siano estremamente sbagliati, seppure per ragioni opposte. Non sarà un approccio fanatico, settario – da setta macrobiotica o da lobby farmaceutica – a riportarci sulla retta via. Moderazione e perseguimento della poco appariscente ma equilibrata via di mezzo, ecco cosa occorrerebbe per realizzare un mondo più etico dove si renda possibile: “avere” di meno tutti, per “essere” di più tutti. Di più come? Più solidali gli uni con gli altri, smettendola di cannibalizzare non solo le altre specie, ma anche la nostra.
1 commento su “Un mondo più etico”