Come criceti nella ruota

Come criceti nella ruota siamo condannati a girare e rigirare a vuoto, ma, come ben sanno i criceti, chi si ferma è perduto.

A mio avviso, la parte dello “Zarathustra” più interessante è quella intitolata “La visione e l’enigma”; è intrisa di simboli e senza un cospicuo sforzo interpretativo si capirebbe ben poco, e capire è costruire un senso, malgrado il nonsenso apparente, che è un po’ la chiave della ricerca filosofica nietzscheana. Se la vita è quello che è, che senso ha viverla? Il bello è “cercare” questo senso più che trovarlo, questo c’insegna la filosofia di Nietzsche e più in generale è ciò che dovrebbe inculcarci la filosofia tutta. Checché ne dicano alcuni, per la filosofia pura, quella (socratica) delle origini: la ricerca del sapere è più importante del sapere stesso. Così come la ricerca della verità è più importante della verità stessa.

Se ve la devo dire tutta, io per primo non mi accontento di questa ricerca. Quando, però, tento di andare oltre e mi metto a caccia di risposte, mi rendo conto che sto flirtando con la teologia, a discapito della filosofia. E in questo sono poco nietzscheano, il relativismo dei valori e della verità non mi basta. Perciò credo che la Verità (con la maiuscola), a cercare bene, ci sia, ma credo pure che il percorso filosofico-avventuroso del relativismo nietzscheano sia stimolante, malgrado sia convinto – in ultima analisi – che Nietzsche avesse torto.

Il buon “Federico” è un filosofo che va apprezzato a piccole dosi: dargli troppo retta può nuocere a sé e agli altri. Ascoltarlo “quel tanto che serve” ritengo sia un vero toccasana e le sue massime, i suoi aforismi un balsamo per l’anima afflitta dell’uomo di ogni luogo ed epoca. Perlomeno gli esiti nefandi dell’influenza nietzscheana sul Nazismo m’inducono a pensare questo.

Con ciò cosa voglio dire, che Nietzsche era nazista? Certamente no anche per la semplice evidenza che quando lui è morto, nel 1900, Hitler ha solo undici anni. Ad ogni modo, mentirei se affermassi che la sua filosofia non contenga la scintilla del nazismo. D’altra parte, però, sento di poter perdonare il suo antisemitismo – il suo bersaglio polemico è San Paolo, basti leggere “L’Anticristo” per rendersene conto – in quanto, che lo abbia voluto o meno, persino lui che si considerava tanto “inattuale” in questo, nell’antisemitismo appunto, fu fin troppo “attuale”, intendendo con ciò figlio della sua epoca malata.

D’altronde, ogni epoca ha il suo male. Qual è la malattia della nostra epoca? Il capitalismo. Un male spirituale prima che economico, il cui sintomo più evidente e preoccupante è: l’avidità. Ammettendo questo, non mi schiero però con Marx, poiché la storia ci ha mostrato l’inefficacia dell’antitesi comunista, che vorrebbe sconfessare il capitalismo su basi economiche, mentre io credo si dovrebbe combatterlo e criticarlo per la sua miseria spirituale, per il modo in cui ci ha tramutati tutti in bestie simili all’animale mitologico denominato Caradrio, che mangiano e defecano simultaneamente in preda a un’insaziabilità divorante. All’orizzonte di cure comprovate per arginare questo male non se ne vedono, semmai s’intravvedono solo sperimentazioni palliative, capaci di attenuare i sintomi senza operare però sulle cause che li hanno originati; non credo infatti alla possibilità di riuscita di decrescite felici, per quanto le adoro e ne condivido i principi basilari.

Io una sintesi che potrebbe funzionare l’avrei in mente e non brilla di certo per originalità (d’altronde è mia opinione che, filosoficamente parlando, l’originalità è sopravvalutata), ma non per questo è meno rivoluzionaria nel senso più autentico del termine, intendendo con rivoluzione l’etimo latino “revolvere”, che significa “tornare indietro”. A che cosa? Al Cristo dei “Vangeli”. Non so voi, ma nonostante abbia studiato autori su autori, non ho trovato niente di più rivoluzionario del comandamento di Cristo, che così sintetizzo: “Ama i tuoi nemici”.

Nonostante non ne sia capace, ammiro più di ogni altro chi riesce a fare di questo comandamento evangelico il suo imperativo categorico. Se tutti diventassimo capaci di questo, non vi sarebbero più guerre, ma la pace regnerebbe sulla Terra. Con i “se”, però, non si fa neanche un metro di strada.

Fra tutti gli amori, quello per i nemici mi resta difficile da digerire sia a livello intellettuale sia viscerale. Lo confesso, non sono ancora pronto a farlo mio. Chiamo in causa Kierkegaard, secondo il quale si possono rintracciare tre stadi esistenziali: quello estetico, quello etico e quello religioso. Be’, direi che io sono fermo al secondo. Per amare i nemici occorre raggiungere il terzo, che – in tutta franchezza – credo sia riservato a una ristrettissima minoranza. Ed è questo il problema, che rende la kantiana “pace perpetua” una grandiosa idea, poco praticabile però. Dire che lo è “poco” non equivale a dire che non lo sia affatto. Dunque, credo che sia impossibile realizzarla? No. Credo allora che sia improbabile? Sì. Perché per renderla possibile bisognerebbe che ogni uomo arrivi ad amare il proprio nemico e sia da quest’ultimo riamato dello stesso amore. Facile, no? Come bere un bicchiere d’acqua, che, a proposito, si può sapere com’è: se mezzo pieno o mezzo vuoto?

Di fronte a problematiche del genere rimpiango di non essere un orientalista, che facilmente risponderebbe: il bicchiere è sia pieno sia vuoto. Vuoto e pieno sono le due facce di un’unica medaglia. Perciò mi sento di rispondere: il bicchiere è mezzo pieno fino a che non ne bevi il liquido, da quando cominci a berlo diventa mezzo vuoto, però vuoi mettere, almeno ti disseti, anche se poi ti viene voglia di riempirlo di nuovo.

Qual è la morale? Che la vita è una coazione a ripetere e ne sapeva qualcosa Sisifo, costretto a far rotolare la pietra giù dalla rupe per poi ricaricarsela, riportarla di nuovo su in cima e farla rotolare giù ancora e ancora.

Vi ha fatto venire in mente qualcosa Sisifo? A me sì, la ruota di un criceto, che gira e rigira fino a che non muore, se non fosse che quel povero Sisifo è condannato all’eterna ripetizione.

Ebbene? Come criceti nella ruota siamo condannati a girare e rigirare a vuoto, ma, come ben sanno i criceti, chi si ferma è perduto.