A mio modo di vedere l’insegnamento della filosofia sottende una premessa irrinunciabile e tre peculiarità imprescindibili.
La premessa è che si tratta di una scienza “non scientifica”, intendendo con ciò la sua lontananza dall’esattezza e la sua vicinanza all’approssimazione – malgrado alcune categorie di filosofi potrebbero dissentire, comprensibilmente dal loro “punto di vista” –, infatti, le generalizzazioni filosofiche sono più simili a un’approssimazione di come stanno le cose piuttosto che a una fedele fotografia del mondo. Scienze come l’ingegneria, la biologia, la chimica, la fisica, eccetera, sono sì queste da ritenersi “esatte”. Anche se sarebbe più opportuno coniare per esse un termine apposito quale “esattibili”. Quant’è vero che non esiste perfezione al mondo ma perfettibilità. Con ciò non significa che queste scienze “esattibili” non facciano mai delle approssimazioni, ma devono ridurle al minimo per potere agire efficacemente e fare ciò per cui sono state ideate. La filosofia altresì non ha il vincolo della “esattibilità”, tutt’al più della “plausibilità”. Una riflessione filosofica infatti o è “plausibile” o non lo è – e, se lo è, può e deve cavalcare a briglia sciolte, come Furia cavallo del West. Riprendendo una celebre suggestione dostoevskijana e adattandola alla filosofia, si potrebbe dire che in essa il due più due non fa necessariamente quattro, ma può anche fare cinque o sei o qualsiasi altro numero.
La prima peculiarità ha a che fare con l’arte. Infatti, oltre che scienza seppure non scientifica, la filosofia è soprattutto un’arte. A essere precisi, l’arte che insegna a porsi le domande giuste, che spesso sono anche le più scomode. Per le risposte “demanda” il compito ad altre discipline, le cosiddette scienze queste sì esatte, o che almeno tendono all’esattezza e per le quali due più due è bene che faccia quattro. È mio parere che il mondo necessiti di entrambe, sia di quelle esatte sia di quelle meno interessate all’esattezza, come la filosofia.
Che caratteristiche deve avere una domanda “giusta”, o, per meglio dire, “filosofica”? Di solito s’interroga sul “che cosa” di una cosa. Si direbbe uno scioglilingua, anche se in realtà è molto semplice. Per esempio, alcune domande filosofiche possono essere: che cos’è una famiglia? Che cos’è il tempo? Che cos’è la vita? Che cos’è la morte? Sono quattro di numerosi esempi che si possono fare, che, penso, rendono bene l’idea. Sono domande che partono tutte dal “cos’è” di una “cosa”.
La seconda peculiarità è che, come caratteristica della propria arte, la filosofia non si accontenta del porre le domande cosiddette “giuste”, ma impartisce anche una lezione alla quale tutti gli uomini dovrebbero prestare attenzione: insegna a “dubitare” di tutto. Tanto per essere chiaro, “cogito ergo sum” lo ha sì detto in età moderna Cartesio, ma esso era già contenuto “in nuce” nel modo di filosofare del padre della filosofia, Socrate, e in maniera un po’ più embrionale lo si può rintracciare persino nei Presocratici, la cui grandezza non è giusto sminuire, per non parlare di Pirrone, padre dello Scetticismo.
Perché dubitare è tanto importante? Perché permette di vagliare, con il prezioso scandaglio della ragione, ogni aspetto e sfaccettatura della propria vita, incrementando così esponenzialmente le probabilità di prendere decisioni “qualitativamente” migliori.
La terza peculiarità della filosofia riguarda l’essere sempre “filosofia della”: logica, linguaggio, scienza, estetica, politica, teoretica, etica, morale, eccetera. Al contrario di quanto se ne possa pensare, ciò ne costituisce la forza e non la debolezza. Anzi, a dirla tutta, la filosofia non è mai stata: filosofia-e-basta, ma sempre e comunque filosofia-di-qualcosa. Si pensi al mito della nascita di Eros ovvero della filosofia, così come viene enunciato nel “Simposio” platonico. La tensione erotica della filosofia ne è sempre stata la caratteristica saliente. Eros/filosofia è infatti figlio di Poros/espediente ma anche di Penia/povertà. Pur essendo predisposto, da parte di padre, alla conoscenza, ne è tuttavia mancante, come la madre. Per questo aspira alla sapienza. E non si aspira a qualcosa che si possiede già. Se fosse sapiente Eros/filosofia non avvertirebbe il bisogno di ricercarla.
In definitiva, la filosofia, insegnandoci a porre le domande giuste, a dubitare e ad anelare alla conoscenza, ci fa prendere meno abbagli e ci allena a operare le scelte migliori. Se ha ragione Kierkegaard, che afferma che vivere è sostanzialmente scegliere – e io credo ce l’abbia –, la filosofia, o meglio, l’arte filosofica è il più valido allenamento possibile; allenamento al quale nessuno dovrebbe sottrarsi e che è rivolto a tutte le età. Ogni età è buona per filosofare. Anzi. Più tardi si comincia, più decisioni sbagliate si rischia di collezionare nel frattempo.
Per fortuna esiste una “philosophy for children”. Perché infatti ostinarsi a volare basso, pretendere il minimo livello di apprendimento, quando basterebbe osare per allargare gli orizzonti dei più piccoli, i futuri abitanti del domani? Chi si accontenta in ambito educativo e didattico commette un torto contro i suoi allievi, che vorrebbero osare, cercare sentieri poco battuti e che, invece, si vedono frustrati nelle loro aspettative. Pertanto, la parola d’ordine nello schema binario insegnamento-apprendimento dovrebbe essere: “osare”. Per farlo occorre che l’insegnante abbia il coraggio e la voglia di farlo (“volere è potere”, diceva Bacone).
Perché osare? Perché se non osassimo non potremmo mai aspirare alla saggezza. In fondo, che cos’è la saggezza se non porsi di continuo, in ogni occasione, la domanda: “Ho davvero pensato a tutto?”. A più opzioni si pensa prima di scegliere o no una determinata cosa, se farla o non farla, e migliore potrà essere la decisione che alla fine si prenderà.
Costruire una “forma mentis” filosofica aiuta a estendere i propri orizzonti che altrimenti sarebbero più limitati, aiuta a pensare a più dimensioni, finanche in 4D! In maniera tale da avere dei fenomeni biologici e degli accadimenti storici una panoramica globale.
A che serve una “forma mentis” filosofica? Innanzitutto a scegliere bene, quando si sarà costretti a scegliere; obbligo al quale, come insegna Kierkegaard, siamo sottoposti senza tregua.
Dunque, essere umani equivale a essere nelle condizioni di dover scegliere, in ogni istante della propria vita. Motivo per cui: vivere è scegliere.
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