Il potere della suggestione

Il popolo si lascia comandare solo da quel principe che esercita su di esso un ascendente. Fondamentale – in tal senso – è per il principe avere il potere di “[…] suggestionare la massa” (p. 117), chi ne è sguarnito non può esercitare l’onere e l’onore del comando.

Contro il volere popolare non è possibile governare. Per costruire il proprio potere “[…] su fondamenta solide” (MACHIAVELLI, N., “Il principe”, 1532, Bur Rizzoli, Milano, a cura di Piero Melograni, 1999, p. 117) è necessario portare dalla propria parte il popolo, sia nel caso in cui grazie a esso si è preso il potere sia se lo si è conquistato grazie ai nobili.

Il popolo si lascia comandare solo da quel principe che esercita su di esso un ascendente. Fondamentale – in tal senso – è per il principe avere il potere di “[…] suggestionare la massa” (p. 117), chi ne è sguarnito non può esercitare l’onere e l’onore del comando. Di suggestione delle masse da parte dei capi ne parla Gustave Le Bon ne “La psicologia delle folle”, uno dei testi più letti e studiati – guarda caso proprio insieme a “Il principe” di Machiavelli – dai politici del Novecento, dittatori compresi.

La suggestione è impossibile senza la seduzione, motivo per cui un buon principe dev’essere un seduttore. Come si seduce? Con le lusinghe. Per esempio, si prenda un caso emblematico della nostra attualità politica, il reddito di cittadinanza; è chiaro che chi lo proporrà, lusingando così una larga fetta della popolazione disoccupata, con una tale esca, come effetto immediato otterrà una valanga di consensi in suo favore; certo, se poi costui non rispetterà le promesse fatte, in tempo di democrazia 2.0 ne pagherà il prezzo perdendo tutto il credito politico accumulato e si precluderà la possibilità di venire rieletto. Altri esempi potrebbero essere: promettere posti di lavoro, estendere i diritti civili alle minoranze, diminuire il carico fiscale dello Stato, eccetera.

Tante sono le lusinghe da adoperare in politica, quelle di oggi diverse da quelle di ieri; anche perché oggi i cittadini non sono più sudditi in tante parti del mondo; ragion per cui sono più smaliziati, conoscono i loro diritti e li rivendicano, ne chiedono di continuo l’estensione. Comunque, mutatis mutandis, cambia la forma ma non la sostanza: le lusinghe attecchiscono sul popolo come la ruggine al ferro.

Tutta colpa loro

Non è colpa nostra, si difendono i giovani di oggi. E hanno ragione. Non è colpa loro, ma di quegli adulti che li abituano a essere sempre difesi e li lasciano impuniti. Questa abitudine nociva alla deresponsabilizzazione è tutta colpa loro.

Penso ci sia un problema generazionale. Stiamo crescendo ragazzi sempre più deresponsabilizzati. Laddove invece proprio il principio responsabilità – come insegna il filosofo Hans Jonas – è alla base di una vita da cittadini moralmente integri; cittadini consapevoli del loro ruolo nel mondo, che sanno come comportarsi per preservare questa loro casa comune che è il pianeta Terra.
Un serio problema di deresponsabilizzazione sta coinvolgendo genitori e figli, con questi ultimi che vengono difesi a spada tratta dai primi e sono sempre “innocenti” anche ben oltre la prova contraria; in realtà genitori siffatti stanno insegnando ai loro figli – più che a essere maturi – l’immaturità. Inoltre, questa condizione di “tutto è lecito” che vivono i ragazzi in famiglia si ripercuote poi anche a scuola ed è un’insana abitudine che non può non influenzare in maniera negativa il loro comportamento. In che modo? Si riflette in un atteggiamento generale, rispetto al passato, più presuntuoso. Studiano il pomeriggio prima, si presentano all’interrogazione il giorno dopo, non prendono il voto che vogliono e polemizzano. Mentre, invece, molto più maturo sarebbe da parte loro un atteggiamento equilibrato, perché se un professore dà un voto, quale che sia, non lo attribuisce certo per simpatie personali o favoritismi presunti. Lo dà perché pienamente convinto che “quello” è il voto per “quella” prestazione che ha ascoltato durante l’interrogazione o ha corretto in occasione della verifica scritta.
Come qualunque altro professore, pur mettendoci tutta la buona volontà del mondo, non sono così folle da credermi infallibile nel giudizio. Posso solo assicurare di metterci il massimo dell’impegno per essere equo; “giusto” non credo sia umanamente possibile esserlo; questo perché da credente ritengo che la giustizia non sia una prerogativa di questo mondo; al massimo “hic et nunc” si può ambire a un’approssimazione di giustizia, ben consci che quella terrena non sarà mai una giustizia perfetta, tutt’al più perfettibile e sempre un po’ claudicante, temo. Con “equo” intendo che ci tengo a essere – quanto più mi riesce – “uniforme” nella valutazione.
Quando devo correggere delle verifiche scritte di una classe tendo a cominciarle e finirle nello stesso giorno, così da minimizzare eventuali difformità di giudizio dovute a circostanze esterne – stati fisici o stati d’animo alterati – che da un giorno a un altro possono portarmi a essere più o meno severo. Sembra una sciocchezza ma tale non è per me. In quanto esseri umani siamo creature umorali, che – a livello inconscio e a seconda dell’umore – tendono a modificare i loro comportamenti. Quindi, sapendolo, credo sia opportuno prendere delle contromisure. Nella fattispecie: correggere i compiti l’uno di fila all’altro. Si tratta di una regola di condotta che m’impongo e che cerco – nei limiti del possibile – di applicare. Da quest’anno, per combattere la possibile disparità nella valutazione delle interrogazioni, m’impegno a concentrarle in uno stesso periodo, in maniera tale che fra il primo e l’ultimo degli interrogati non trascorrano che pochi giorni, minimizzando così un eventuale influsso di fattori esterni.
Detto ciò, forse proprio perché desidero avere un atteggiamento di equanimità nei confronti di ogni mio studente, forse per questo mi rammarico doppiamente quando qualche mio studente non “prende con filosofia” il voto che gli ho assegnato; in tal caso a dispiacermi è la mancanza di consapevolezza della prestazione offerta; e se non si è consapevoli, significa che si è poco maturi. Come un serpente che si morde la coda, la scarsa maturità in molti casi è causata da una distorta percezione di sé a cui spesso contribuiscono quei genitori che tengono sul palmo di una mano i loro figli e per i quali i frutti dei loro lombi non possono che essere infallibili.
Non è colpa nostra, si difendono i giovani di oggi. E hanno ragione. Non è colpa loro, ma di quegli adulti che li abituano a essere sempre difesi e li lasciano impuniti. Questa abitudine nociva alla deresponsabilizzazione è tutta colpa loro.