Secondo me ci sono tre modalità d’insegnamento della filosofia: per definizioni, per problemi, per analogie.
L’insegnamento per “definizioni” ha il merito di essere più accurato e rispondente agli autori di cui si effettua la mediazione didattica – di Platone se si sta spiegando Platone, di Aristotele se si sta spiegando Aristotele e così via –, per contro, però, risulta forse troppo lontano dall’esperienza di vita dei discenti.
L’insegnamento per “problemi” è simile a quello della matematica, senonché è il metodo dell’indagine piuttosto che il risultato della stessa che conta per la filosofia.
L’insegnamento per “analogie” è quello sul quale vorrei dilungarmi. Il vantaggio più marcato è la fascinazione. Con il procedimento analogico, per esempio, nel caso si stia affrontando come argomento Platone, si potrebbe portare i propri alunni a paragonare l’idea di Bene in sé al Sole. Entrambi – infatti – sia il Bene sia il Sole illuminano, sono “illuminanti”. Nel libro VII della “Repubblica”, quello del mito della caverna, per intenderci, viene proposta questa suggestiva corrispondenza metaforica tra il Sole e il Bene in sé. Lo svantaggio di questa modalità è la difficoltosa trasposizione mentale dei significati da un piano a un altro. Ricordiamo che, sempre restando a Platone, l’uso di analogie era comprensibile nell’ottica del dualismo. Egli non a caso riconosceva un mondo sensibile delle cose – per esempio, tavolo, cane, uomo, eccetera –, e un mondo soprasensibile delle idee – per restare nell’esempio, idea di tavolo, cane, uomo e via elencando. È incontestabile che, quando si vuole rendere qualcosa con qualcos’altro, un qualche torto lo si produca. Si può tuttavia ovviare a questo “presunto” torto facendo capire ai ragazzi il concetto di proporzionalità: il Sole sta alle realtà sensibili così come l’idea di Bene in sé sta a quelle soprasensibili.
Ciascuno di questi tre metodi d’insegnamento afferisce a una precisa branca filosofica.
L’insegnamento per definizioni è proprio della “logica”.
L’insegnamento per problemi riguarda “l’etica”.
L’insegnamento per analogie rientra nella “teoretica”.
Fra questi tre modi d’insegnamento prediligo quello “per analogie”, pur combinandolo – di tanto in tanto – con gli altri due. Perché? Favorisce il naturale filosofare – fare filosofia cioè – degli allievi. Chi “studia” soltanto, dimentica. Chi “fa” anche, capisce. Studiare non basta, serve capire. Come dico sempre ai miei studenti: “Sono contento che studiate, ma m’interessa di più che capiate…”.
Procedere per analogie, piuttosto che per definizioni o per problematiche cambia relativamente poco la sostanza delle cose. A me sembra utile “contestualizzare” le scuole, i pensieri, le idee, gli autori. Ad ogni modo, ognuno a scuola dà il contributo che sa dare per la crescita dei ragazzi, che devono imparare a farsi loro stessi autori, creatori della propria formazione, prendendo il meglio da quello che riusciamo a offrire loro.
"Mi piace""Mi piace"