Che cos’è il prestigio? Sembra avere le idee chiare in proposito Gustave Le Bon: “Per un lettore moderno, l’opera di Omero è fonte di incontestabile e immensa noia; ma chi oserebbe dirlo? Il Partenone, nel suo stato attuale, è un rudere abbastanza privo di interesse; ma ha un tale prestigio che si finisce col vederlo attraverso il velo di tutti i ricordi storici. La caratteristica del prestigio è quella di impedirci di vedere le cose quali sono, di paralizzare i nostri giudizi. Le folle sempre, e gli individui molto spesso, hanno bisogno di opinioni già fatte. Il successo delle opinioni è indipendente della parte di verità o di errore che contengono; poggia unicamente sul loro prestigio” (LE BON, G., “Psychologie des foules”, 1895, trad. it. “Psicologia delle folle”, Tea edizioni, Milano, 2004, p. 167).
Questo brano di Le Bon mi fa venire in mente il mondo del calcio. Se a segnare un gol su punizione è Dybala, il tiro sarà sempre considerato dal telecronista di turno una pennellata d’autore anche se dovesse trattarsi di un tiraccio fatto con la suola della scarpa. Se a siglare un gol sempre su punizione con un tiro – in effetti – meraviglioso è un giocatore qualsiasi, invece, magari di una squadra provinciale, per lo stesso telecronista si sarà trattato di un errore di piazzamento del portiere, nella peggiore delle ipotesi, o tutt’al più di un bel tiro anche se casuale, nella migliore. Lo stesso dicasi per una parata decisiva. Un conto è se la fa Buffon, in tal caso sempre per il “suggestionato” telecronista sarà stata una paratona o addirittura, scomodando un linguaggio biblico a dir poco blasfemo, un “miracolo”. Mentre se a fare la stessa parata è un anonimo portiere di chissà quale squadretta, al massimo gli si può tributare il merito di avere fatto una “onesta” parata. Le definisco: stravaganze del prestigio.
Certo, un calciatore fuoriclasse accumula “prestigio”, di giocata in giocata. Ciononostante, sono persuaso che, con un pizzico di spirito critico in più, si possa arrivare ad ammettere – in tutta onestà – che un gesto tecnico può essere bello, persino degno dell’appellativo di “capolavoro”, indipendentemente da chi lo compie. Perché, non so a voi, ma a me nessuno può farmi il lavaggio del cervello convincendomi che l’ultimo e più brutto dei tiri di Messi, in virtù del maggiore prestigio dell’autore, va considerato migliore – a prescindere – del più incredibile dei gol da centrocampo di un Giaccherini qualsiasi.
In definitiva, credo che il prestigio occorra sudarselo, giorno per giorno, e che non sia soltanto questione di palmares. È questo il bello dello sport, così come della vita: dimostrare sul campo che si merita la vittoria più dell’avversario, così come ogni giorno di essere più forte delle avversità.
3 pensieri riguardo “L’effimero prestigio”